martedì 21 ottobre 2014

Osservazione estetica alla città filo-razionalista

Santiago de León de Caracas (una delle città giudicate più brutte al mondo)
La concezione di città planetaria che impone le stesse forme, le stesse dimensioni, le stesse funzioni distribuite nello spazio,  spegne le nozioni di identità culturale e di adattamenti all'ambiente umano. La suddivisione del territorio in zone ordina rigorosamente i settori del lavoro, del tempo libero e della circolazione. Molti approcci risultarono prevalenti nella disciplina urbanistica e influenzeranno profondamente le elaborazioni progettuali degli urbanisti italiani, non solo quelle di scuole più razionaliste, ma anche quelle di matrice organica, che,  se pur attente ai caratteri morfologici e culturali, trascurano spesso le significanze naturali degli ambiti da progettare. A prevalere è la monotonia dell’edificato e delle strutture, spesso non caratterizzate da nessun elemento decorativo, edifici spogliati di carattere. Eliminando  il decoro urbano, si elimina un sistema di valori che fa riferimento ad un patrimonio collettivo e che vive della collaborazione tra pubblico e privato. Muri e prospetti decorati che si affacciano e che fanno parte degli spazi pubblici sono un esempio di questo sistema di qualità. La fine del decoro urbano per la città ha mostrato la parte meno caratterizzante della nostra epoca.
Marco Romano nel suo testo La città come opera d’arte, evidenzia come da Mille anni in Europa le case hanno una facciata più o meno decorata con l’intenzione di renderla bella, ricorrendo ad una consolidata e costante sequenza di elementi architettonici. Questa sequenza, della quale siamo cosi assuefatti da non percepire neppure, consiste di solito in un basamento lavorato e in qualche modo distinto dai piani superiori, il solenne portone dell’ingresso, nell’eleganza delle modanature intorno alle finestre, nelle complicate balaustre del balcone, in uno spigolo sottolineato che irrobustisca gli angoli, e in fine in un cornicione o in un tetto sporgente che la conclude in alto. […] Le Corbusier aveva sostenuto negli anni Venti del Novecento, che la modernità dovesse consistere proprio nel cancellare codesti elementi, prescrivendo nei suoi manifesti in piano terreno libero dove compaiono soltanto i pilastri – cancellato dunque il basamento, come tutte le case di Brasilia - , finestre in un nastro orizzontale continuo che avrebbe impedito di per se stesso i timpani e le cornici consueti, e infine il tetto piano senza alcuna sporgenza. Ma di fatto poi gli architetti si guarderanno bene dal seguire questi principi e le facciate delle case moderne avranno gli stessi elementi costitutivi della loro bellezza, disegnati in nuovo stile affiancati a quelli in uso fino ad Ottanta anni fa: anche se poi il rigore del Purismo moderno è diventato la distesa di case anonime e insignificanti dei quartieri contemporanei. Si distinguono cosi gli status, gli intonaci dei poveri e i serramenti malamente verniciati dei quartieri popolari, contrapposti ai bei palazzi dell’élite.
Il mondo moderno per lungo tempo ha quasi dimenticato l’esistenza dei colori sulle facciate, preferendo poche tinte neutre, il bianco, il grigio e il marrone. La maggior parte degli edifici di nuova concezione razionalista (il più delle volte interpretazioni), spesso di scarso valore architettonico, non si integrano armoniosamente con il contesto antico, anzi la loro presenza risulta quasi sempre contrastante con il resto del contesto urbano, la mancanza di urbanità.
Oggi è diventato urgente il ritorno ad un’armoniosa integrazione tra la forma (conscio) e il colore (incoscio), che sostituisce la concezione forma e gesto architettonico.
Uno strumento legislativo importante è il “Piano del Colore” utile per la riqualificazione e il recupero del costruito antico, ma soprattutto per la regolamentazione dell’aspetto estetico degli edifici di recente costruzione, che completano il tessuto dei centri storici. I Piani del Colore sono spesso molto diversi tra loro, perché ogni Comune si è dotato di norme e organi differenti. Il rispetto per l’ambiente, presuppone anche il riguardo per le sue peculiarità: naturali, paesaggistiche, storiche, culturali, architettoniche. Oggi la globalizzazione tende ad avvilire la tradizione e la memoria, e i Piani del Colore si contrappongono a questa tendenza. Se in Italia infatti sono molti i Comuni che si sono dotati o si stanno dotando di un Piano del Colore del Centro Storico, pochi invece pensano a un Piano Cromatico per i moderni quartieri del margine urbano. Il colore è uno degli strumenti, forse il più importante, per la riqualificazione, perché con costi contenuti è possibile trasformare l’impatto visivo di un edificio, di una strada, di un quartiere, di un complesso industriale. Il colore, con la sua capacità di influire sulla percezione della forma, può riplasmare i volumi, correggere le distanze e armonizzare le proporzioni. “Nelle campagne, il colore può mimetizzare l’ingombrante e imbarazzante presenza degli edifici industriali. Anche nei casi in cui la situazione è particolarmente compromessa dal punto di vista estetico, il colore può aggiungere carattere, fantasia, allegria” . Forse la strada più corta per ovviare a precisi interventi di recupero strutturale più profondi, ma di certo un tassello importante, per la riqualificazione urbana (a basso costo) dei quartieri marginali alla città, ormai da molti anni spogli di carattere, per l’Italia, che presenta le più brutte periferia d’Europa.
M.G.L. (articolo del lunedì 19 marzo 2012 - laficudinia.blogspot.it/)

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