sabato 22 novembre 2014

VIA DALLE CITTA' I SEDENTARI A MOTORE



Automobile: una mania futuristica e puerile. Andate un po' a piedi. E ci saranno meno infarti e trombosi, meno angosce e tristezze, meno problemi e anche meno brutture architettoniche e urbanistiche nonché naturali. Noi stessi che stiamo ora scrivendo, giornalisti e viaggianti, non abbiamo l'automobile; e potremmo mantenercene allegramente quattro, si sa. Preferiamo andare a piedi soprattutto perché quando il piede cammina il cuore è contento. E poi perché siamo convinti che fa più fino non averla. E poi ancora perché - senza scherzi - siamo sicuri di arrivar prima col treno, col tranvai, col tassì e magari proprio a piedi. Pigliamo il tassì, quando ci serve; o una macchina a nolo, se per andar fuori. Altrimenti, il tram o l'autobus.

Vero è che - come il treno - questi servizi pubblici sembrano ormai inventati apposta per incoraggiare l'individuale, egoistica automobile, prepotente, schiacciante, sfondante, rovina della bellezza nelle città e nelle campagne: un mezzo di trasporto che può agire in pessimi sensi sulla psiche e che diseduca in modo speciale troppi italiani, col dare vano orgoglio, complesso di superiorità, protervia e col deprimere, con l'abbassare la visione e ogni comprensione del mondo. I tassì non di rado sono vecchi indecentemente, rotti e scomodi, i peggiori dell'Europa che conosciamo; e sono scarsi, introvabili quando più servono. (A Madrid, per esempio, che non è poi il doppio di Milano, ce ne sono quasi seimila, e macchine capaci, robuste, moderne insomma. A Milano che si vanta sempre d'essere modernissima, di essere brutta ma simpatica, ma bella perché moderna, di consumarsi e di bruciarsi per rinnovarsi mirabilmente come la fenice, di vivere pulsando e fremendo per la gran modernità, sono sfruttate certe lente autopubbliche ancora a metano, e persino i modelli più recenti, di debole cilindrata e di miserabile carrozzeria, sembrano già comprati sul mercato delle cattive occasioni.)

Quanto agli autobus, al filobus e ai tranvai, paiono la massima parte mostruosamente studiati e fabbricati per torturare: pochi posti a sedere e illimitata capacità di digerire gente in piedi, lotte tenaci e atroci se si cerca un varco verso l'uscita, affannose corse avanti e indietro perché i manovratori fermano prima o dopo le fermate ... Santo cielo! Gl'italiani hanno perso o non hanno mai avuto nozione dei loro diritti. I servizi pubblici sono fatti per servire il pubblico e non le aziende e i municipi e non i manovratori e i bigliettari.  E dove sono finiti gli antichi cartelli con su scritto "completo"? Si legge invece, nell'interno, questa patetica esortazione: "E' spesso penoso per le signore anziane restare in piedi. Non dimentichiamo di cedere loro i posti a sedere". La prima a dimenticarsene è però proprio l'Azienda; la quale anche per i mutilati si contenta di targhette inutili quando le vetture sono zeppe e inutili quando non lo sono e così c'è posto.

Comunque sia, noi preferiamo il tram e l'autobus allo scomodo di dover girare e sostare in città con automobile propria. Ciò non toglie che il posto a sedere dovrebbe essere assicurato a chiunque paghi il biglietto e che sulle piattaforme non dovrebbero essere tollerate più di sei persone. Ma le nostre aziende pensano forse ai passeggeri? Giorni fa a Catania la ressa su una linea di autobus salì a tale scandaloso gallismo - esaltato, del resto, nella nostra  - che si dovette escogitare il rimedio di istituire speciali vetture a sessi distinti e separati. Quindi i maschi viaggeranno accalcati tra di loro e le femmine idem: ma ad aumentare umanamente il numero degli autobus, a questo no, non si pensa. Già l'Italia è il paese dove nei cinematografi si vendono senza tregua biglietti, senza fine, e dove la gente si gode lo spettacolo rimanendo dritta e schiacciata sotto lo schermo. (E i pompieri?)


In simile stato di cose - e coi treni che molte volte rammentano quelli dei deportati - con tanti pessimi tranvai e autobus, con pochi e scatasciati tassì - riceve dunque una specie di esplicativa risposta la solita domanda: è mai possibile che tutti tutti debbano girare in automobile - di regola una sola persona in un'automobile a sei posti più lo spazio per i bagagli - e che in tal modo l'auto comune - e con un'unica persona -  occupi lo spazio di un mezzo autobus o tranvai zeppo da morire? Si, è possibile perché ognuno cerca, naturalmente, di vivere un po meno scomodo e di differenziarsi dalle bestie. Eppure no, via. L'automobile  non può e non deve diventare una rovinosa, veloce immoralità. E' un delitto che sparisca l'Italia intera per il comodo dei sedentaria motore. Sono necessari dei freni, parola giusta; ed è necessaria una buona marcia indietro: traffico automobilistico e motociclistico vietato in parecchie vie dei vecchi centri. O, secondo i casi, lecito esclusivamente ai tassì. Strade automobilistiche sotterranee. Servizi pubblici migliorati, adatti all'uman genere invece che al pollame. Proibizione di costruire altri edifici entro le parti centrali o prossime alle centrali, proibizione di sopralzi e di aumenti oltre il numero originario dei piani sotto il tetto o sotto terrazza, bloccaggio insomma dei centri storici, artistici, caratteristici, e non più mai imperialismi né verticali né orizzontali.
Eppoi, l'orario unico, con immediato vantaggio sia per la dignità e libertà umana, sia per ogni traffico e circolazione che diminuirebbero all'incirca della metà. Infatti, non avremmo più di quattro percorsi quotidiani, alle otto, alle dodici, alle quattordici, alle diciotto; ma due soltanto, alle otto e alle sedici. Orario unico che urge specie a Milano.
Leonardo Borgese, 18 ottobre 1960.
Tratto da: Borgese L., Emiliani V. (a cura di), L'Italia rovinata dagli italiani. Scritti sull'ambiente, la città, il paesaggio, 1946-70, Rizzoli, 2005, Milano

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